MODIFICHE AL TESTO UNICO AMBIENTALE

Pubblicato da Marco Barragato il

PREMESSA
Il decreto legislativo 3 settembre 2020, n. 116, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 226 dell’11 settembre 2020 ed in vigore dal 26 settembre 2020, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2018/851 che modifica la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti e attuazione della direttiva (UE) 2018/852 che modifica la direttiva 1994/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio», contiene, in particolare, importanti modifiche ed integrazioni al titolo I della parte IV del d.lgs. n. 152/2006 («Gestione dei rifiuti» in generale) ed ai relativi allegati.

Le modifiche ed integrazioni di più immediato e diretto interesse per le imprese essenzialmente riguardano:
– le definizioni, con una serie di modifiche di quelle già vigenti e l’introduzione di alcune nuove;
– il deposito temporaneo dei rifiuti nel luogo in cui sono stati prodotti;
– la classificazione dei rifiuti;
– le responsabilità del produttore;
– il sistema di tracciabilità dei rifiuti;
– gli adempimenti cosiddetti amministrativi (MUD, registro, formulario);
– il trasporto intermodale;
– le sanzioni amministrative.

Altri aspetti della disciplina dei rifiuti sui quali il d.lgs. n. 116/2020 è intervenuto, ma con disposizioni di minore attualità e diretto interesse per le imprese, in quanto di contenuto programmatico o perché necessitanti successivi provvedimenti di attuazione, sono:
– la responsabilità estesa del produttore, con l’integrale sostituzione del previgente art. 178-bis e l’inserimento di un nuovo art. 178-ter;
– la prevenzione della produzione dei rifiuti con dettagliata indicazione delle misure che a tal fine dovranno essere contenute ed attuate con apposito programma nazionale di prevenzione;
– i rifiuti organici, con indicazioni programmatiche per l’ottimizzazione della loro gestione;
– il recupero dei contributi dovuti per il SISTRI, con la previsione di un decreto ministeriale di semplificazione delle relative procedure;
– la programmazione generale, con l’introduzione di un inedito programma nazionale per la gestione dei rifiuti (nuovo art. 198-bis), e la pianificazione regionale;
– la raccolta differenziata e gli obiettivi da raggiungere, con l’introduzione di regole per il loro calcolo (art. 205-bis).

1. NUOVE DEFINIZIONI E DEFINIZIONI VARIATE
Il d.lgs. n. 116/2020 ha aggiunto (a quelle già contenute nell’art. 183 del d.lgs. n. 152) le seguenti ulteriori nuove definizioni:
– «rifiuto non pericoloso»;
– «rifiuti urbani»;
– «rifiuti da costruzioni e demolizioni»;
– «rifiuti alimentari»;
– «regime di responsabilità estesa del produttore»;
– «recupero di materia»,
– «riempimento»;
– «compostaggio»;
ed ha modificato o sostituito (non solo nella denominazione) le seguenti definizioni già contenute nell’art. 183 del d.lgs. n. 152:
– «rifiuto organico», ora «rifiuti organici»;
– «gestione», ora «gestione dei rifiuti»;
– «deposito temporaneo», ora «deposito temporaneo prima della raccolta»;
– «compost di qualità», ora semplicemente «compost».
Si tratta, peraltro, di integrazioni e modifiche, per lo più di scarsa o limitata rilevanza (1).

Rilevanti e di diffuso interesse sono invece le nuove definizioni di “rifiuti urbani” e di “deposito temporaneo” ridenominato “deposito temporaneo prima della raccolta”:

• nuova lettera b-ter) dell’art. 183:
«rifiuti urbani:
1. i rifiuti domestici indifferenziati e da raccolta differenziata, ivi compresi: carta e cartone, vetro, metalli, plastica, rifiuti organici, legno, tessili, imballaggi, rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, rifiuti di pile e accumulatori e rifiuti ingombranti, ivi compresi materassi e mobili;
2. i rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici indicati nell’allegato L-quater prodotti dalle attività riportate nell’allegato L-quinquies;
3. i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade e dallo svuotamento dei cestini portarifiuti;
4. i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua;
5. i rifiuti della manutenzione del verde pubblico, come foglie, sfalci d’erba e potature di alberi, nonché i rifiuti risultanti dalla pulizia dei mercati;
6. i rifiuti provenienti da aree cimiteriali, esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti provenienti da attività cimiteriale diversi da quelli di cui ai punti 3, 4 e 5».
La nuova definizione ripercorre, con significative variazioni, l’elencazione dei rifiuti classificati urbani già contenuta nell’art. 184, comma 2, tant’è che quest’ultimo viene sostituito con un mero rinvio alla nuova definizione stessa.

• nuova lettera bb) dell’art. 183:
«deposito temporaneo prima della raccolta: il raggruppamento dei rifiuti ai fini del trasporto degli stessi in un impianto di recupero e/o smaltimento, effettuato, prima della raccolta ai sensi dell’articolo 185-bis».
La nuova definizione, quindi, rinvia ad un inedito art. 185-bis la disciplina del deposito temporaneo, disciplina che, come è noto, precedentemente era contenuta nella definizione stessa.

2. DEPOSITO TEMPORANEO PRIMA DELLA RACCOLTA
Il deposito temporaneo è ora disciplinato dal nuovo art. 185-bis.
Le variazioni rispetto alla disciplina precedente, contenuta nella definizione di cui alla lett. bb) dell’art. 183 (che, come s’è detto, è stata così sostituita: «deposito temporaneo prima della raccolta: il raggruppamento dei rifiuti ai fini del trasporto degli stessi in un impianto di recupero e/o smaltimento, effettuato, prima della raccolta ai sensi dell’articolo 185-bis»), si risolvono nelle seguenti – inedite – disposizioni:
– «esclusivamente per i rifiuti soggetti a responsabilità estesa del produttore, anche di tipo volontario, il deposito preliminare alla raccolta può essere effettuato dai distributori presso i locali del proprio punto vendita» (comma 1, lett. b), dell’art. 185-bis), sulla falsa riga di quanto già previsto in particolare per i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche – RAEE;
 «per i rifiuti da costruzione e demolizione, nonché per le filiere di rifiuti per le quali vi sia una specifica disposizione di legge, il deposito preliminare alla raccolta può essere effettuato presso le aree di pertinenza dei punti di vendita dei relativi prodotti» (comma 1, lett. c), dell’art. 185-bis), disposizione immediatamente applicabile per i rifiuti da costruzione e demolizione (non occorrono provvedimenti ministeriali di attuazione), anche se non di agevole praticabilità.
È da notare come, più che deroghe al deposito temporaneo (dei propri) rifiuti nel luogo in cui sono prodotti, si tratti di deroghe all’obbligo dell’autorizzazione per lo stoccaggio di rifiuti prodotti da terzi.
Per il resto, per il deposito temporaneo vero e proprio, la nuova norma, pur con diversa articolazione, pedissequamente ricalca quella precedente.
Resta che:
– il deposito deve avvenire «nel luogo in cui i rifiuti sono prodotti, da intendersi quale l’intera area in cui si svolge l’attività che ha determinato la produzione dei rifiuti o, per gli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del codice civile, presso il sito che sia nella disponibilità giuridica della cooperativa agricola, ivi compresi i consorzi agrari, di cui gli stessi sono soci» (comma 1, lett. a), dell’art. 185-bis);
– «i rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti di cui al regolamento (CE) 850/2004, e successive modificazioni, sono [devono essere] depositati nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l’imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al suddetto regolamento» (comma 2, lett. a), dell’art. 185-bis);
– «i rifiuti sono [devono essere] raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all’anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno» (comma 2, lett. b), dell’art. 185-bis);
– «i rifiuti sono [devono essere] raggruppati per categorie omogenee, nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute» (comma 2, lett. c), dell’art. 185-bis);
– il deposito deve avvenire «nel rispetto delle norme che disciplinano l’imballaggio e l’etichettatura delle sostanze pericolose» (comma 2, lett. d), dell’art. 185-bis).
Non costituisce una novità neppure il fatto che «Il deposito temporaneo prima della raccolta è [deve essere] effettuato alle condizioni di cui ai commi 1 e 2 e non necessita di autorizzazione da parte dell’autorità competente» (comma 3 dell’art. 185-bis).

3. NUOVA DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE DEI RIFIUTI URBANI
Come già accennato, con la nuova lettera b-ter) dell’art. 183 è stata introdotta una inedita “definizione” di rifiuti urbani consistente in una dettagliata individuazione dei rifiuti da considerarsi tali, corredata da due nuovi allegati – allegato L-quater e allegato L-quinquies – che di fatto sostituisce quella contenuta nell’art. 184, comma 2, a fini classificatori (l’art. 184 è titolato «Classificazione») e di distinzione tra rifiuti urbani e rifiuti speciali.

In coerenza con tale nuova definizione/elencazione, quella previgente, contenuta nel citato comma 2 dell’art. 184, è stata quindi sostituita con un mero rinvio alla lettera b-ter) dell’articolo precedente: «Sono rifiuti urbani i rifiuti di cui all’articolo 183, comma 1, lettera b-ter)».
Complessivamente, l’introduzione della nuova lettera b-ter) dell’articolo 183 e degli allegati L-quater e L-quinquies, cui si aggiunge la modifica dell’art. 184, comma 2, determinano la modifica dei rifiuti classificati urbani alla quale specularmente corrisponde la modifica anche di quelli classificati speciali.

Le nuove regole di classificazione, peraltro, non hanno effetto immediato. Lo stesso d.lgs. n. 116/2020 che le ha introdotte, all’art. 6, comma 5, ha disposto che «Al fine di consentire ai soggetti affidatari del servizio di gestione dei rifiuti il graduale adeguamento operativo delle attività alla definizione di rifiuto urbano, le disposizioni di cui agli articoli 183, comma 1, lettera b-ter) [nuova definizione di rifiuto urbano] e 184, comma 2 [sostituzione della catalogazione dei rifiuti urbani con un rinvio alla nuova definizione] e agli allegati L-quater [elenco di rifiuti che sono urbani se prodotti dalle attività di cui all’allegato L-quinquies] e L-quinquies [elenco delle attività i cui rifiuti sono urbani se corrispondenti a quelli elencati nell’allegato L-quater], introdotti dall’articolo 8 presente decreto, si applicano a partire dal 1° gennaio 2021.».

Pertanto, al momento, nulla è variato in tema di classificazione dei rifiuti e nulla dovrebbe cambiare (il condizionale è d’obbligo) quanto meno fino al 31 dicembre 2020, salvo quanto disposto nella nuova lettera b-sexies) dell’art. 183, anch’essa aggiunta con il d.lgs. n. 116/2020, ma non “congelata” fino al 1° gennaio 2021: «i rifiuti urbani non includono i rifiuti della produzione, dell’agricoltura, della silvicoltura, della pesca, delle fosse settiche, delle reti fognarie e degli impianti di trattamento delle acque reflue, ivi compresi i fanghi di depurazione, i veicoli fuori uso o i rifiuti da costruzione e demolizione». Tali rifiuti comunque non saranno urbani dopo il 1° gennaio 2021, ma già ora non lo sono, la qual cosa potrebbe risultare in taluni casi una novità non irrilevante, in particolare per i rifiuti delle fosse settiche, per i quali non era mai stata univocamente chiarita la natura urbana o speciale.

Il primo principale effetto della nuova definizione/classificazione dei rifiuti urbani è che dal 1° gennaio 2021 risulterà soppressa la categoria degli “assimilati agli urbani”, ossia dei rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quelli di civile abitazione che, in ragione della loro qualità e quantità (e sulla base di criteri statali, peraltro mai emanati), con i regolamenti comunali del servizio pubblico possono essere assimilati agli urbani, divenendo tali ad ogni effetto , com’era previsto dall’art. 184, comma 2, lett. b), prima del d.lgs. 116/2020.
Infatti,
– da un lato vengono soppresse sia la lett. e) dell’art, 195, comma 2, che attribuiva allo Stato il compito di fissare i criteri per l’assimilazione, sia la lett. b) dell’art. 198, comma 2, che prevedeva l’individuazione nei regolamenti comunali dei rifiuti assimilati,
– dall’altro,
• tramite l’allegato L-quater, contenente l’«Elenco dei rifiuti di cui all’articolo 183, comma 1, lettera b-ter), punto 2)», ossia l’elenco dei rifiuti «simili per natura e composizione ai rifiuti domestici» (così si legge nel richiamato punto 2 della lett. b-ter) dell’art 183)
• e l’allegato L-quinquies, contenente l’«Elenco attività che producono rifiuti di cui all’articolo 183, comma 1, lettera b-ter), punto 2)»,
i rifiuti non domestici ma (ritenuti) simili vengono classificati urbani direttamente dalla legge.

In altri termini, in base al punto 2 della nuova definizione/classificazione (per la quale sono urbani «i rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici indicati nell’allegato L-quater prodotti dalle attività riportate nell’allegato L-quinquies», tutti i rifiuti che figurano nell’allegato L-quater e provengono da attività elencate nell’allegato L-quinquies sono urbani “per definizione”, salvo il residuo margine di discrezionalità tecnico-amministrativa lasciato aperto dalla previsione nell’allegato L-quinques delle altre «Attività non elencate, ma ad esse simili per loro natura e per tipologia di rifiuti prodotti» in aggiunta a quelle puntualmente previste (annotazione in calce all’elenco di cui all’allegato L-quinquies).
Quanto sopra, però, fermo restando che comunque, anche dopo il 1° gennaio 2021, «i rifiuti urbani non includono [non potranno mai includere] i rifiuti della produzione [industriale in primis], dell’agricoltura, della silvicoltura, della pesca, delle fosse settiche, delle reti fognarie e degli impianti di trattamento delle acque reflue, ivi compresi i fanghi di depurazione, i veicoli fuori uso o i rifiuti da costruzione e demolizione» (nuova lettera b-sexies) dell’art. 183).

4. ALTRE NOVITÀ IN MATERIA DI CLASSIFICAZIONE DEI RIFIUTI
L’art. 184 relativo alla «Classificazione» dei rifiuti è stato modificato:
– sostituendo, come s’è visto, il comma 2 con un rinvio alla nuova lett. b-ter) dell’art. 183, ossia alla nuova definizione di rifiuto urbano, che, si ripete, avrà effetto dal 1° gennaio 2021;
– riscrivendo integralmente il comma 3 relativo all’individuazione dei rifiuti classificati speciali;
– inserendo nel comma 5 una nuova disposizione per «la corretta attribuzione dei codici e delle caratteristiche di pericolo».

4.1. Rifiuti speciali
La riformulazione del comma 3, con conseguente revisione dei rifiuti da classificarsi speciali, è per lo più connessa, conseguente e correlata alla revisione dei rifiuti da classificarsi urbani: il rinvio di operatività di quest’ultima rende parallelamente per il momento – e quanto meno fino al 1° gennaio 2021– invariata anche la classificazione dei rifiuti speciali, salvo alcune specifiche variazioni immediatamente vigenti, ossia l’annovero tra gli speciali (sempre e comunque) di tutti i rifiuti delle fosse settiche e delle reti fognarie.
In dettaglio, tutti i rifiuti da lavorazioni industriali, da lavorazioni artigianali, da attività commerciali e da attività di servizi (lett. c)d)e) e f) del comma 3 dell’art. 184 nella versione previgente al d.lgs. n. 116/2020) fino al 31 dicembre 2020 resteranno speciali, salvo quelli assimilati agli urbani secondo le modalità di cui all’originario art. 184, comma 2, lett. b); dal 1° gennaio 2021, invece, saranno speciali se non sono compresi nell’elenco cui all’allegato L-quater e (contemporaneamente) non deriveranno da attività di cui all’allegato L-quinquies, allegato, quest’ultimo, che, in particolare non include le attività industriali.
Il nuovo comma 3 dell’art. 184, infatti, annovera tra i rifiuti speciali:
– «i rifiuti prodotti nell’ambito delle lavorazioni industriali se diversi da quelli di cui al comma 2»;
– «i rifiuti prodotti nell’ambito delle lavorazioni artigianali se diversi da quelli di cui al comma 2»;
– «i rifiuti prodotti nell’ambito delle attività commerciali se diversi da quelli di cui al comma 2»;
– «i rifiuti prodotti nell’ambito delle attività di servizio se diversi da quelli di cui al comma 2»;
ed il comma 2 cui si fa rinvio dal 1° gennaio 2021 a sua volta rinvierà alla nuova definizione di rifiuto urbano, definizione che diverrà anch’essa applicabile solo da quella data, ma nel frattempo va letta nella versione ante d.lgs. n. 116/2020, nella quale i rifiuti non domestici di provenienza industriale, artigianale, commerciale e da servizi possono essere assimilati agli urbani divenendo tali solo tramite espresse previsioni contenute nei regolamenti locali del servizio pubblico.
Resta comunque, come s’è già osservato, che «i rifiuti urbani non includono [e, salvo variazione di legge, non potranno includere nemmeno dopo il 1° gennaio 2021] i rifiuti della produzione, dell’agricoltura, della silvicoltura, della pesca, delle fosse settiche, delle reti fognarie e degli impianti di trattamento delle acque reflue, ivi compresi i fanghi di depurazione, i veicoli fuori uso o i rifiuti da costruzione e demolizione» (nuova lett. b-sexies) dell’art. 183).
In tale disposizione da ultimo riportata, come parimenti si è già avuto modo di rilevare, ma non è superfluo ripetere, è contenuta l’unica variazione in tema di classificazione dei rifiuti speciali immediatamente operativa: l’annovero tra gli speciali di tutti i rifiuti delle fosse settiche e delle reti fognarie.

4.2. Attribuzione del codice e delle caratteristiche di pericolo
Con il d.lgs. n. 116/2020 sono stati integralmente sostituiti l’allegato D («Elenco dei rifiuti») e l’allegato I («Caratteristiche di pericolo per i rifiuti») alla parte IV del d.lgs. n. 152/2006, conformandoli, rispettivamente, alla decisione 2014/955/UE e al regolamento (UE) n. 1357/2014 come integrato con il regolamento (UE) 2017/997, peraltro già in vigore ed applicati in base alla precisazione a suo tempo introdotta in premessa all’allegato D: «La classificazione dei rifiuti è effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente codice CER ed applicando le disposizioni contenute nella decisione 2014/955/UE e nel regolamento (UE) n. 1357/2014 della Commissione, del 18 dicembre 2014, nonché nel regolamento (UE) 2017/997 del Consiglio, dell’8 giugno 2017» (all. D, punto 1, come modificato dall’art. 9 del d.l. n. 91/2017).
Tale modifica risulta quindi un utile intervento di “pulizia normativa”, ma in sé è totalmente priva di novità e di effetti.

Diverso è il caso della modifica al comma 5 dell’art. 184 cui viene aggiunta la seguente disposizione: «La corretta attribuzione dei codici dei rifiuti e delle caratteristiche di pericolo dei rifiuti è effettuata dal produttore sulla base delle Linee guida [che verranno] redatte, entro il 31 dicembre 2020, dal Sistema nazionale per la protezione e la ricerca ambientale [SNPA] ed approvate con decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano.».

 

 

Già da qualche tempo sono state pubblicate sul sito di ISPRA delle linee guida edite dal SNPA, peraltro in vari punti contrastanti con quelle, ad analogo fine, adottate dalla Commissione UE («Comunicazione della Commissione — Orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti (2018/C 124/01)» pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione C 124 del 9 aprile 2018).
La fissazione di un termine per la redazione (31 dicembre 2020) e la previsione di un decreto ministeriale di approvazione conferma l’assenza di qualunque valenza giuridica delle linee guida già pubblicate che, ragionevolmente, non saranno nemmeno quelle che verranno approvate.
In ogni caso, al momento, non vi è nessuna novità in tema di codifica e di classificazione dei rifiuti pericolosi.

5. RESPONSABILITÀ DEI PRODUTTORI
In tema di responsabilità dei produttori, ovvero di «Responsabilità della gestione dei rifiuti» (questa è la nuova titolazione dell’art. 188 come integralmente sostituito dal d.lgs. n. 116/2020) le reali novità sono due:
– la soppressione dell’ordine di priorità secondo il quale il produttore o detentore di rifiuti speciali dovrebbe assolvere i propri obblighi, che era previsto al comma 2 del previgente art. 188;
– la sostituzione del «certificato di avvenuto smaltimento» (le cui modalità di rilascio avrebbero dovuto essere definite con un decreto ministeriale mai emanato) con una «attestazione di avvenuto smaltimento, resa ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, sottoscritta dal titolare dell’impianto da cui risultino, almeno, i dati dell’impianto e del titolare, la quantità dei rifiuti trattati e la tipologia di operazione di smaltimento effettuata».
Della prima novità si può solo prendere atto; d’altra parte era solo un’indicazione priva di forza cogente.
Di rilievo è invece l’introduzione dell’attestazione di avvenuto smaltimento, anche perché, non essendo previsto (non essendo necessario) un decreto ministeriale che la regolamenti, la nuova disposizione è immediatamente operativa e produce gli effetti dalla stessa prevista.
In sintesi, analogamente a quanto era previsto per il certificato di avvenuto smaltimento, il nuovo comma 5 dell’art. 188 dispone che «Nel caso di conferimento di rifiuti a soggetti autorizzati alle operazioni di raggruppamento, ricondizionamento e deposito preliminare di cui ai punti D13, D14, D15 dell’allegato B alla Parte IV del presente decreto, la responsabilità dei produttori dei rifiuti per il corretto smaltimento è esclusa a condizione che questi ultimi, oltre al formulario (…), abbiano ricevuto un’attestazione di avvenuto smaltimento resa ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, sottoscritta dal titolare dell’impianto da cui risultino, almeno, i dati dell’impianto e del titolare, la quantità dei rifiuti trattati e la tipologia di operazione di smaltimento effettuata.».
La norma è alquanto laconica nell’individuazione del soggetto tenuto a rilasciare l’attestazione: «titolare dell’impianto»! Di quale impianto? Di quello di solo raggruppamento, ricondizionamento e deposito preliminare o di quello successivo?
Per il previgente e mai realmente reso operativo certificato di avvenuto smaltimento, la certificazione doveva – avrebbe dovuto – essere rilasciata «dal titolare dell’impianto che effettua le operazioni di cui ai punti da D1 a D12», ma è proprio questo che di fatto ha reso impraticabile la disposizione: solo il gestore dell’impianto intermedio (quello dove vengono eseguite solo operazioni di tipo D13, D14 o D15) può sapere da dove provengano i rifiuti che ha conferito all’impianto finale (dove vengono eseguite operazioni di tipo da D1 aD12); il gestore di quest’ultimo non ha alcun modo di sapere quale sia la provenienza originaria dei rifiuti che non riceve direttamente, salvo che tale informazione non gli venga fornita dal gestore dell’impianto intermedio.
In sintesi solo il gestore dell’impianto di raggruppamento, ricondizionamento e deposito preliminare può effettivamente rilasciare una dichiarazione ai sensi e per gli effetti di cui al d.P.R. n. 445/200 come richiesto dalla nuova norma.
Resta comunque che la disposizione relativa all’attestazione di avvenuto smaltimento riguarda, per l’appunto, solo conferimenti per lo smaltimento, non anche conferimenti per il recupero.

6. NUOVO SISTEMA DI TRACCIABILITÀ DEI RIFIUTI
Come è noto, con l’art. 6 del d.l. n. 135/2018, convertito dalla legge n. 12/2019
– è stato soppresso il SISTRI (con decorrenza 1° gennaio 2019) e
– è stato istituito il Registro elettronico nazionale per la tracciabilità dei rifiuti (REN).
Con il nuovo art. 188-bis (introdotto dal d.lgs. n. 116/2020) sono ora tracciate le modalità di realizzazione del nuovo «Sistema di tracciabilità dei rifiuti» nel contesto del REN.
Il comma 1 dell’art. 188-bis, rimanda ad apposito decreto del Ministro dell’ambiente la definizione di nuove modalità di adempimento degli obblighi di cui agli articoli 190 e 193, relativi ai registri di carico e scarico dei rifiuti ed ai formulari di identificazione per il trasporto in connessione con il REN.
Nel frattempo, «Fino all’entrata in vigore del decreto previsto al comma 1 continuano ad applicarsi i decreti del Ministro dell’ambiente 1° aprile 1998, n. 145 e 1° aprile 1998, n. 148, recanti i modelli di registro di carico e scarico e di formulario di identificazione del rifiuto.» (comma 7 dell’art. 188-bis).
Quando diverrà operativo, dovranno iscriversi al REN tutti i soggetti (enti ed imprese) per i quali attualmente vige l’obbligo della comunicazione annuale al catasto dei rifiuti (MUD) in base all’art. 189, comma 3 (art. 6, comma 3, del d.l. n. 135/2018, convertito dalla legge n. 12/2019).
Una volta adottati tutti i provvedimenti necessari per la realizzazione del nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti – e verificata sperimentalmente la funzionalità dei relativi necessari sistemi informatici (hardware e software) – «Gli adempimenti relativi agli articoli 190 e 193 [registro e formulario] sono [saranno] effettuati digitalmente da parte dei soggetti obbligati ovvero di coloro che intendano volontariamente aderirvi ai sensi del comma 3 dell’articolo 6 del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135; negli altri casi i suddetti adempimenti possono [o debbono] essere assolti mediante il formato cartaceo. In entrambi i casi la modulistica è scaricabile direttamente dal Registro elettronico nazionale.» (comma 5 dell’art. 188-bis).

7. CATASTO DEI RIFIUTI
È stato integralmente e formalmente «sostituito» l’art. 189 (anche per superare equivoci su quale fosse il testo vigente).
Resta totalmente invariata l’individuazione dei soggetti tenuti alla presentazione della comunicazione (esenzioni comprese) e dei rifiuti oggetto della stessa.
Vengono confermati “in legge” gli ulteriori contenuti aggiunti in sede di concreta regolamentazione (d.P.C.M.) delle modalità di presentazione della comunicazione: oltre che «le quantità e le caratteristiche qualitative dei rifiuti oggetto delle predette attività», ossia delle specifiche attività che individuano i soggetti obbligati, debbono essere comunicate anche, ove ne ricorra il caso, anche «le quantità e le caratteristiche qualitative (…) dei materiali prodotti all’esito delle attività di recupero nonché i dati relativi alle autorizzazioni ed alle comunicazioni inerenti le attività di gestione dei rifiuti».

8. REGISTRO CRONOLOGICO DI CARICO E SCARICO DEI RIFIUTI
È stato integralmente e formalmente «sostituito» l’art. 190 (e non solo per superare equivoci su quale fosse il testo vigente).
Resta invariata l’individuazione dei soggetti tenuti all’adozione e compilazione del registro, salvo un nuovo caso di esenzione di cui si dirà. Restano invariati anche i tempi per provvedere alle registrazioni.
Debbono (dovranno) essere registrati non solo i rifiuti, ma anche «la quantità dei prodotti e materiali ottenuti dalle operazioni di trattamento». Però
– come si è già avuto modo di vedere, «Il modello di registro cronologico di carico e scarico è [sarà] disciplinato con il decreto di cui all’articolo 188-bis, comma 1 [decreto ministeriale che stabilità nuove le modalità di adempimento degli obblighi di cui agli articoli 190 e 193 in connessione con il REN] e
– fino alla data di entrata in vigore del suddetto decreto continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’ambiente 1° aprile 1998, n. 148»,
quindi, salvo prescrizione specifica di ulteriori registri contenuta nell’autorizzazione del singolo impianto di recupero, il registro vigente non prevede (e non consente) registrazioni che non riguardino i rifiuti.

8.1. Esenzioni
Come si è detto, è stata introdotta una nuova ipotesi di esenzione. «Sono [ora] esonerati dall’obbligo (…)
– gli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del codice civile, con un volume di affari annuo non superiore a euro ottomila,
– le imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi, di cui all’articolo 212, comma 8, nonché,
– per i soli rifiuti non pericolosi, le imprese e gli enti produttori iniziali che non hanno più di dieci dipendenti.» (comma 5 dell’art. 190),
col che si realizza una perfetta coincidenza tra soggetti obbligati alla comunicazione al catasto e soggetti obbligati alla tenuta del registro.
Per quanto riguarda il numero dei dipendenti il calcolo va effettuato considerando l’impresa nella sua globalità, non la singola unità locale, e va riferito al numero dei dipendenti occupati mediamente a tempo pieno durante un anno, mentre i lavoratori a tempo parziale e quelli stagionali rappresentano frazioni di unità lavorative annue. L’anno da considerare è l’ultimo anno di esercizio contabile approvato. (cfr. art. 258, comma 3).

8.2. Riduzione dei tempi di conservazione
«I registri, integrati con i formulari di cui all’articolo 193 relativi al trasporto dei rifiuti, sono conservati per tre anni dalla data dell’ultima registrazione.», fermo restando che comunque «I registri relativi alle operazioni di smaltimento dei rifiuti in discarica devono essere conservati a tempo indeterminato e consegnati all’autorità che ha rilasciato l’autorizzazione, alla chiusura dell’impianto.». (comma 10 dell’art 190).

8.3. Ulteriori novità di immediata applicazione
• I consorzi e le organizzazioni per la raccolta e riciclaggio di particolari tipologie di rifiuti previsti nei titoli II e III della parte IV del 152, «possono adempiere all’obbligo (…) tramite i documenti contabili, con analoghe funzioni, tenuti ai sensi delle vigenti normative.» (comma 4 dell’art. 190).

• «Per le attività di gestione dei rifiuti costituiti da rottami ferrosi e non ferrosi, gli obblighi connessi alla tenuta dei registri di carico e scarico si intendono assolti anche tramite l’utilizzo dei registri IVA di acquisto e di vendita secondo le procedure e le modalità fissate dall’articolo 39 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e successive modifiche.» (comma 8 dell’art. 190).

• I registri relativi ai rifiuti delle attività di manutenzione di infrastrutture a rete possono essere tenuti nel cantiere o nella sede locale di pertinenza del tratto di infrastruttura in manutenzione, oppure presso le sedi di coordinamento organizzativo del gestore, o altro centro equivalente, (come già previsto dall’art. 230, comma 4, che pertanto viene abrogato, ma) previa comunicazione all’ARPA o al Registro elettronico nazionale (comma 11 dell’art. 190).

• «I registri relativi agli impianti dismessi o non presidiati possono essere tenuti presso la sede legale del soggetto che gestisce l’impianto.» (comma 10 dell’art 190).

9. TRASPORTO DEI RIFIUTI E FORMULARIO
È stato integralmente e formalmente «sostituito» l’art. 193 (e, come nel caso dell’art. 190, non solo per superare equivoci su quale fosse il testo vigente).
Restano al momento invariate tutte le disposizioni di base, essendo previsto, come già detto, che il formulario sarà rivisto col decreto di cui all’art. 188-bis, comma 1 [decreto del Ministro dell’ambiente che stabilità nuove le modalità di adempimento degli obblighi di cui agli articoli 190 e 193 in connessione con il REN] (art. 193, comma 2), ma «Fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui all’articolo 188-bis, comma 1, continuano ad applicarsi il decreto del Ministro dell’ambiente 1° aprile 1998, n. 145» (art. 193, comma 3).
Restano quindi in particolare invariati
– i contenuti essenziali del formulario («a) nome ed indirizzo del produttore e del detentore; b) origine, tipologia e quantità del rifiuto; c) impianto di destinazione; d) data e percorso dell’istradamento; e) nome ed indirizzo del destinatario.») (art. 190, comma 1) e
– il numero e modalità di gestione delle (quattro) copie (art. 193, comma 4).

9.1. Principali novità di immediata applicazione
• «Le copie del formulario devono [ora] essere conservate per tre anni.» e non più per cinque (comma 4, ultimo periodo, dell’art. 193).

• «Gli stazionamenti dei veicoli in configurazione di trasporto, nonché le soste tecniche per le operazioni di trasbordo, ivi compresi quelli effettuati con cassoni e dispositivi scarrabili, o con altre carrozzerie mobili che proseguono il trasporto, non rientrano nelle attività di stoccaggio [sottoposto ad autorizzazione] di cui all’articolo 183, comma 1, aa), purché le stesse siano dettate da esigenze di trasporto e non superino le 72 ore [erano 48], escludendo dal computo i giorni interdetti alla circolazione.» (comma 15 dell’art. 193).

9.2. Novità attualmente non praticabile
Sarebbe previsto che «Fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui all’articolo 188-bis, comma 1, in alternativa alle modalità di vidimazione di cui al comma 3, il formulario di identificazione del rifiuto è prodotto in format esemplare, conforme al decreto del Ministro dell’ambiente 1° aprile 1998, n. 145, identificato da un numero univoco, tramite apposita applicazione raggiungibile attraverso i portali istituzionali delle Camere di Commercio, da stamparsi e compilarsi in duplice copia. (…).» (comma 5 dell’art. 193).
Ad oggi, nessuna Camera di Commercio si è ancora attrezzata in tal senso.

9.3. Norme di chiarimento
Premesso che i rifiuti derivanti da attività di manutenzione, piccoli interventi edili, attività di pulizia, di disinfezione, di disinfestazione, di derattizzazione e di sanificazione si considerano prodotti presso l’unità locale, sede o domicilio del soggetto che svolge tali attività,
• «Nel caso di quantitativi limitati che non giustificano l’allestimento di un deposito dove è svolta l’attività, il trasporto dal luogo di effettiva produzione alla sede, in alternativa al formulario di identificazione, è accompagnato dal documento di trasporto (DDT) attestante il luogo di effettiva produzione, tipologia e quantità dei materiali, indicando il numero di colli o una stima del peso o volume, il luogo di destinazione.» (comma 19 dell’art. 193).

Resta comunque, per chi esegue il trasporto, l’obbligo di iscrizione all’Albo Gestori Ambientali nella pertinente categoria.

Inoltre,
• «Per le attività di cui all’articolo 230, commi 1 e 3 [manutenzione di infrastrutture a rete e relativi impianti], con riferimento alla movimentazione del materiale tolto d’opera prodotto, al fine di consentire le opportune valutazioni tecniche e di funzionalità dei materiali riutilizzabili, lo stesso è accompagnato dal documento di trasporto (DDT) attestante il luogo di effettiva produzione, tipologia e quantità dei materiali, indicando il numero di colli o una stima del peso o volume, il luogo di destinazione.» (comma 20 dell’art. 193).

9.4. Precisazioni e conferme
• «La trasmissione della quarta copia può essere sostituita dall’invio mediante posta elettronica certificata sempre che il trasportatore assicuri la conservazione del documento originale ovvero provveda, successivamente, all’invio dello stesso al produttore.» (comma 4, secondo periodo, dell’art. 193).

• «Nella compilazione del formulario di identificazione, ogni operatore è responsabile delle informazioni inserite e sottoscritte nella parte di propria competenza. Il trasportatore non è responsabile per quanto indicato nel formulario di identificazione dal produttore o dal detentore dei rifiuti e per le eventuali difformità tra la descrizione dei rifiuti e la loro effettiva natura e consistenza, fatta eccezione per le difformità riscontrabili in base alla comune diligenza.» (comma 17 dell’art. 193).

10. TRASPORTO INTERMODALE
Il nuovo articolo 193-bis contiene un’inedita disciplina del trasporto intermodale, rivolta a risolvere le difficoltà ed incertezze della gestione dei rifiuti nella fase di deposito tra una modalità di trasporto e la successiva.

Di regola
«(…) il deposito di rifiuti nell’ambito di attività intermodale di carico e scarico, trasbordo e soste tecniche all’interno di porti, scali ferroviari, interporti, impianti di terminalizzazione e scali merci, effettuato da soggetti ai quali i rifiuti sono affidati in attesa della presa in carico degli stessi da parte di un’impresa navale o ferroviaria o che effettua il successivo trasporto, non rientra nelle attività di stoccaggio [sottoposto ad autorizzazione] di cui all’articolo 183, comma 1, lettera aa), a condizione che
– [il deposito nel porto o nello scalo] non superi il termine finale di trenta giorni e che
– i rifiuti siano presi in carico per il successivo trasporto entro sei giorni dalla data d’inizio dell’attività di deposito.» (nuovo art. 193-bis, comma 1).
Ne segue che l’affidatario (il gestore del deposito in porto, nello scalo ferroviario, nell’interporto, nello scalo merci o il terminalista) non è considerato un “gestore di rifiuti”.

Qualora il successivo trasportatore non prenda in carico i rifiuti entro sei giorni dall’inizio del deposito in porto, nello scalo ferroviario, nell’interporto, nello scalo merci o nell’impianto di terminalizzazione
«il soggetto al quale i rifiuti sono affidati deve darne comunicazione formale, non oltre le successive 24 ore,
– all’autorità competente ed
– al produttore [o detentore che ha commissionato il trasporto] nonché, se esistente,
– all’intermediario o al soggetto ad esso equiparato che ha organizzato il trasporto.
Il produttore [o detentore], entro i ventiquattro giorni successivi alla ricezione della comunicazione è tenuto a provvedere alla presa in carico dei rifiuti per il successivo trasporto ed alla corretta gestione dei rifiuti stessi.» (nuovo art. 193-bis, comma 2).
«L’invio della comunicazione [da parte del soggetto al quale i rifiuti sono affidati] e la presa in carico dei rifiuti [da parte del produttore o del detentore che ha commissionato il trasporto] nel rispetto dei termini indicati al comma 2 escludono la responsabilità per attività di stoccaggio di rifiuti non autorizzato, ai sensi dell’articolo 256, fermo restando l’obbligo, per il soggetto al quale i rifiuti sono affidati in attesa della presa in carico [il gestore del deposito in porto, nello scalo ferroviario, nell’interporto, nello scalo merci o il terminalista], di garantire che il deposito sia effettuato nel rispetto delle norme di tutela ambientale e sanitaria.» (nuovo art. 193-bis, comma 3).

11. SANZIONI AMMINISTRATIVE
È stato integralmente riformulato l’art. 258, relativo alla «Violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari»,
– sostituendo la versione introdotta dal d.lgs. n. 205/2010 (che era stata predisposta in funzione dell’operatività del SISTRI) e
– ripristinando in buona parte la struttura ed i contenuti sostanziali della precedente versione, salvo l’aggiunta di ulteriori ipotesi di violazioni amministrative connesse a nuovi obblighi, quali, in particolare, quelli connessi al REN (ovviamente secondo le modalità e le tempistiche che verranno stabilite).
Sono state peraltro introdotte alcune interessanti novità.

11.1. Ipotesi sanzionabili
Ferma restando la sanzione penale per il trasporto di rifiuti pericolosi senza formulario o con formulario incompleto o inesatto (e per la predisposizione e per l’utilizzo di falsi certificati di analisi dei rifiuti),
• restano confermate come illeciti amministrativi tutte le altre violazioni degli obblighi relativi alla comunicazione annuale al catasto, al registro di carico e al formulario,
• salvo precisare che: «Le sanzioni di cui al presente articolo, conseguenti alla trasmissione o all’annotazione di dati incompleti o inesatti sono applicate solo nell’ipotesi in cui i dati siano rilevanti ai fini della tracciabilità, con esclusione degli errori materiali e violazioni formali.» (art. 258, comma 13, primo periodo).

11.2. Ammontare delle pene pecuniarie
Per varie ipotesi sono stati ridotti i limiti – minimo e massimo – delle pene applicabili. In particolare:
– l’omessa comunicazione annuale e l’incompleta o inesatta comunicazione sono punite con la sanzione pecuniaria da 2.000 a 10.000 euro (era da 2.600 a 15.500 euro);
– l’omessa tenuta del registro di carico e scarico relativo a rifiuti non pericolosi e l’incompleta compilazione dello stesso sono punite con la sanzione pecuniaria da 2.000 a 10.000 euro (era da 2.600 a 15.500 euro);
– l’omessa tenuta del registro di carico e scarico relativo a rifiuti pericolosi e l’incompleta compilazione dello stesso sono punite con la sanzione pecuniaria da 10.000 a 30.000 euro (era da 15.500 a 93.000 euro).
Solo per il trasporto di rifiuti non pericolosi senza formulario o con formulario incompleto o inesatto vi è un leggero aumento: da 1.600 a 10.000 euro mentre era da 1.600 a 9.300 euro.

11.3. Pene pecuniarie ridotte
Vengono confermate tutte le ipotesi per le quali la pena è ridotta, con le seguenti variazioni:
– la riduzione di pena in caso di dati incompleti ed inesatti, ma ricostruibili attraverso altri documenti, già prevista per la comunicazione annuale e per il registro, è stata estesa anche al formulario (precedentemente per il formulario la sanzione ridotta era applicabile solo se dal formulario stesso era possibile ricostruire la completezza ed esattezza dei dati);
– per il registro anche l’omessa tenuta da parte del produttore è sanzionata in misura ridotta «quando siano presenti i formulari di trasporto, a condizione che la data di produzione e presa in carico dei rifiuti possa essere dimostrata, o coincida con la data di scarico dei rifiuti stessi».

11.4. Quantificazione della pena pecuniaria
Per evitare l’eccesso sanzionatorio derivante da “aritmetiche” sommatorie, è stato stabilito (art. 258, comma 9) che
«Chi con
• un’azione od omissione viola diverse disposizioni di cui al presente articolo, ovvero commette
• più violazioni della stessa disposizione,
soggiace alla sanzione amministrativa prevista per la violazione più grave, aumentata sino al doppio.
La stessa sanzione si applica a chi
• con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di cui al presente articolo.»

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